Le prime notizie della chiesa-madre di Quarto, dedicata a Santa Maria libera nos a scandalis, "liberaci dalle insidie", risalgono al 23 agosto 1243, quando il vescovo puteolano Pietro la consacrò. Di certo, la chiesa fu edificata sul sito di una cappella più antica, poiché in un documento dell'anno 1013 si fa riferimento alla compravendita di un appezzamento di terreno in località ad S. Mariam qui dicitur ad Scandola a Quarto major da non confondere con il toponimo Quarto pictulum che corrisponde all'attuale San Giovanni a Teduccio.
In quello stesso giorno, il vescovo Pietro ed altri prelati campani emanarono una lettera collettiva d'indulgenze a favore dei fedeli che avessero visitato la chiesa dal 1° all'8 maggio, festa di San Michele Arcangelo. Nel primo giorno di questo mese, la Chiesa aveva istituito il rito dell'elevazione della Croce di Maggio, affinché si cristianizzasse l'usanza del Calendimaggio, quando un albero fronzuto, simbolo di rigenerazione primaverile, veniva innalzato dai contadini di mezza Europa tra canti e processioni di sapore pagano. E' interessante notare che nella lettera collettiva d'indulgenze - il cui testo era riportato su un epitaffio, un tempo collocato nell'edificio -, si accennava a due altari della chiesa quartese, dedicati proprio alla Santa Croce e all'Arcangelo Michele.
Una leggenda, raffigurata in un affresco un tempo visibile nella facciata interiore del muro a man destra dell'ingresso, è legata alla fondazione della chiesa, riportata in un documento dell'Archivio Storico Diocesano di Pozzuoli. Nel dipinto erano raffigurati un uomo con un falcone e una donna, creduti il re e la regina di Napoli, fondatori della chiesa per aver adempiuto un voto, essendo sfuggiti agli assalti di un cinghiale nel corso di una battuta di caccia in quel luogo. Infatti, fino al XVI secolo, il Piano di Quarto era ricoperto da un fitto bosco, frequentato dalla corte napoletana per le attività venatorie. Nel 1243, anno della consacrazione della chiesa, il re e la regina di Napoli erano l'imperatore Federico II
di Svevia e la sua concubina Bianca Lancia, madre di Manfredi e sua futura consorte morganatica. La leggenda, pertanto, ha un suo fondamento storico: Federico, vedovo dal 1241 della sua terza moglie, amava i Campi Flegrei, ne frequentò i bagni ed edificò un castello sopra l'altura settentrionale del piano di Quarto, oggi noto come Castello di Monteleone. lnoltre, è risaputo che il grande imperatore era un vero esperto della caccia col falcone, al punto da scriverne un trattato.
A partire dal XVI secolo, gli agricoltori di Marano iniziarono l'opera di disboscamento del piano e di messa a coltura dei terreni. I contadini erano pendolari, poiché a fine giornata facevano ritorno a Marano e solo in determinati periodi dell'anno restavano a Quarto, abitando in alloggi di fortuna. Questi mutamenti spinsero il vescovo puteolano Lorenzo Mongiò, nel 1627, a concedere la chiesa ai frati agostiniani della Congregazione di Santa Maria di Colorito, che si stabilirono nel conventino fabbricato a lato della chiesa. Ma nel 1652, quando per disposizione pontificia i piccoli conventi furono aboliti, iniziarono le ostilità da parte dei maranesi, caratterizzati da episodi violenti e riprovevoli (epitaffi distrutti, preti minacciati, ecc.). Nel 1657, ad esempio, il responsabile dell'erario di Marano, Francesco Di Lauro, sottrasse con la forza dalla chiesa di Quarto il cadavere di tale Caterina Sorrentino per farlo seppellire nella chiesa di Marano. Lo stesso Di Lauro, l'anno seguente, sequestrò la chiave della chiesa per impedire l'accesso ai sacerdoti inviati dalla diocesi di Pozzuoli. ll Di Lauro, scomunicato per questi fatti su intervento del vescovo puteolano Giovan Battista Campagna, si pose sotto la protezione dell'arcivescovo di Napoli, asserendo che con le sue azioni aveva inteso soltanto tutelare i diritti del clero di Marano, sottoposto alla giurisdizione della diocesi napoletana. Senza dilungarci nella cronistoria di una lite giurisdizionale tra le due diocesi, durata oltre due secoli, ci limitiamo a ricordare che gli Agostiniani Coloriti fecero ritorno nei primi anni del Settecento e vi rimasero fino al 1753, per volere dell'amministrazione civica di Marano e invogliati da una donazione, in loro favore, di un fondo con masseria in località Pantaleo. Ciò perché i governatori laici della chiesa - i "mastri" - non furono più in grado di provvedere alle esigenze pratiche del culto, tanto più che a Quarto stava nascendo un villaggio dove, tra gli alloggi di fortuna dei contadini pendolari, iniziavano a fare la loro comparsa le abitazioni per gli stanziali. Cresceva, quindi, la richiesta di maggiori cure religiose.
Gli anni della seconda metà dell'Ottocento furono pieni di fermento per la chiesa di Santa Maria. Intanto, nel 1882, dopo lunghi ed estenuanti dibattimenti, la Sacra Congregazione del Concilio aggiudicò definitivamente la chiesa alla diocesi di Pozzuoli. Sei anni dopo, il vescovo Gennaro De Vivo la eresse a parrocchia, ma solo nel 1913 il suo successore, Michele Zezza, poté nominare il primo parroco, il puteolano Giuseppe Pandolfi, poiché i precedenti sacerdoti avevano sempre rifiutato l'incarico presso quella sede disagevole. Quarto, nel 1911, era un borgo rurale di Marano, con poco più di 2.600 abitanti, sparsi su un territorio di oltre 1.400 ettari; bisognò attendere il 5 febbraio 1948 per decretare il distacco da Marano e la nascita del Comune di Quarto, con i suoi oltre 5.000 abitanti.
Acquasantiera
Tornando alla chiesa, essa fu interamente ricostruita in più riprese, tra il 1862 e il 1899. L'interno dell'edificio si presenta di una estrema semplicità, vivacizzata solo da una decorazione a stucco e oro zecchino negli archi e nella copertura. Questa si eleva sull'unica navata, chiusa dall'abside semicircolare, ed è ripartita in due campate a crociera, poggianti su pilastri corinzi. Lungo la
navata si sviluppano otto cappelle (quattro su ogni lato), di cui solo le ultime due ospitano altari, dedicati a san Gerardo e al Sacro Cuore di Gesù. Superato l'arco trionfale, ai lati della navata si aprono due penitenzierie, sovrastate da loggette, prima di giungere all'altare maggiore, dominato dalla scultura policroma della titolare sistemata in nicchia. Di un certo interesse storico-artistico è l'acquasantiera in marmo bianco, riportante la data MDCXXXllll; il pulpito esagonale in noce intagliato, realizzato nel 1916 dal falegname maranese Francesco Moio; un antico dipinto su tavola raffigurante la titolare, nella cappella a Lei dedicata. Dell'antico convento si rinvengono ancora notevoli tracce. A livello planimetrico è evidente la forma del chiostro addossato alla parete sud della chiesa, intorno al quale si sviluppano i vari reparti. Ancora intatta è l'ala occidentale con il lungo corridoio coperto da volta a botte e con alcune celle, adattate ad abitazione del parroco. [Fonti webgrafiche: http://www.infocampiflegrei.it/articoli/articolo91.htm]